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Il Presidente della Turchia Recep Tayyip Erdoğan è stato rieletto come leader del AK Party, il Partito di Giustizia e Sviluppo turco, nel quarto Congresso Straordinario svoltosi sabato 7 ottobre.
Si è trattato di un plebiscito per il dittatore, che con 1399 voti su 1402 (i 3 voti di scarto sono stati dichiarati nulli) ha confermato senza mezzi termini un potere assoluto all’interno del proprio partito, che lo ha confermato per l’ottava volta come capo supremo.
Durante il congresso, Erdogan ha nuovamente professato odio verso le persone LGBTIQ+.
“Chiunque riconosca le persone LGBT+ può andare a marciare con loro. Siamo membri di una struttura che sostiene l’istituzione della famiglia in modo solido” ha dichiarato il dittatore turco, che ha sottolineato: “Nè il nostro partito (AK Party ndr), né gli alleati nazionalisti del MHP (Partito Nazionalista Turco ndr) riconoscono l’esistenza della comunità”.
Erdogan è stato rieletto Presidente della Turchia lo scorso Maggio 2023 in un discutibile ballottaggio, quando aveva dichiarato che il paese avrebbe “strangolato chiunque osi toccare la famiglia”. Soltanto poche settimane dopo il dittatore era tornato sull’argomento, annunciando che la Turchia avrebbe preso ogni possibile misura per combattere la perversione LGBTIQ+“.
Così è stato. Nell’agosto 2023 era emersa chiara in Turchia la censura a contenuti LGBTIQ+ diffusi da piattaforme digitali quali Disney, Netflix e Prime, e l’ultimo Pride dello scorso Giugno 2023 ad Istanbul ha visto decine di manifestanti LGBTIQ+ arrestati dalle forze dell’ordine. Stresso clima qualche settimana prima al Trans Pride, anch’esso bollato come “minaccia alla famiglia” e per questo furono arrestate 8 persone transgender che manifestavano.
Nonostante la Turchia sia nella Nato e si dimostri alleata militare dell’Occidente, per quanto riguarda i diritti civili il paese, storicamente considerato ponte tra Occidente e Oriente, si dimostra platealmente avverso alle politiche dei paesi occidentali in materia di diritti individuali. Durante una conferenza con i giornalisti, di ritorno dal vertice europeo a Praga, il presidente turco ha frontalmente attaccato i Paesi che hanno recentemente introdotto diritti LGBTQI+ nella loro società, accusandoli di “minacciare la struttura familiare tradizionale“.
Erdogan ha dichiarato che la Turchia prenderà le misure necessarie per contrastare i diritti LGBTIQ+ che il dittatore ha definito “degenerazione“, e ha proposto emendamenti costituzionali per proteggere il diritto delle donne di indossare il velo islamico in luoghi pubblici.
Qualche giorno fa in Turchia è stato censurato senza mezzi termini il video dell’associazione Kaos GL che promuoveva la lotta all’omobitransfobia (guarda il VIDEO >). Grazie ad Erdogan, la Turchia ha ormai definitivamente perso il suo status di paese laico e l’influenza dei vertici religiosi islamici detta l’agenda del paese e sussurra al dittatore turco i valori su cui plasmare la società civile. Di recente Ebrar Karakurt, star della pallavolo turca, lesbica dichiarata, dopo la vittoria della Turchia agli Europei di pallavolo femminili, è finita al centro di una tempesta di critiche da parte di esponenti politici dichiaratamente islamisti e imam. Karakurt ha subito pubbliche accuse da parte di religiosi e politici del tipo “Non vogliamo lesbiche in squadra“, fino a dichiarate etichette di stampo religioso: “infedele“. L’atleta non si è scomposta e ha dato una lezione di resilienza: “Questa non è la prima finale che giochiamo, né la prima guerra psicologica che affrontiamo“, ha dichiarato Ebrar.
La morsa repressiva di Erdogan evidenzia una chiara incongruenza all’interno del blocco occidentale. Sotto l’egida militare della Nato, dichiaratamente impegnata a difendere i valori dell’Occidente dalle aggressioni di autarchie quali Russia e Cina, appaiono anche paesi che reprimono diritti civili e difendono un’idea di famiglia tradizionale. Come Turchia, Ungheria, Polonia, Slovacchia, Italia.
Così alla comunità LGBTIQ+ si vorrebbe chiedere di accettare l’utilizzo della forza e delle armi in nome della libertà in compagnia di paesi che dichiarano guerra alle persone LGBTIQ+ come la Turchia.