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Pride e comunicazione
Pride e comunicazione

Pride e comunicazione: attenzione a non sbagliare!

Ci sono diversi moti per supportare davvero la comunità LGBTQIA+, senza passare per il Rainbow Washing. Esistono 3 principi fondamentali:

  • Fare un check interno: capire se i propri dipendenti sono davvero vicini alla comunità LGBTQIA+ è importante. Ricordiamo che un’azienda non comunica solo con la propria “facciata esterna”, ma anche con quelli che sono i valori condivisi dai pubblici interni. Avere a disposizione dunque un organico di dipendenti che non condivide quelle che sono le politiche della comunità potrebbero far risultare l’intera azienda incoerente e le sue campagne di supporto poco efficaci. Se al contrario, tutti i dipendenti sono indirizzati verso la stessa rotta d’inclusione, allora è giusto far conoscere l’impegno dell’azienda. Ma attenzione a non usarle come oggetti nelle campagne pubblicitarie!
  • Se hai sbagliato chiedi scusa!: la sincerità e la trasparenza sono sempre armi vincenti. A volte per ingenuità, a volte no, a tutti può capitare di sbagliare. L’importante è saper chiedere scusa e far sentire tutta la propria desolazione nei confronti della parte lesa. Coprire e giustificare non sono mai le scelte giuste!
  • Supporta la comunità tutto l’anno: il miglior modo per usare strategicamente il Pride è non farlo! La tentazione di voler seguire il trend del momento può essere molto forte, in quanto porterebbe una serie di ricavi economici e di visibilità del brand non indifferenti, ma cadresti nel Rainbow Washing. E’ importante invece fornire un supporto reale e costante, tutto l’anno. Il marketing inclusivo non è una pratica da svolgere una volta l’anno, ma un impegno a tempo piano. Se hai intenzione di schierarti a favore di una comunità assicurati di avere le giuste ragioni, racconta le loro storie e raccogli opinioni e pareri.

Ecco tutte le pride comunicazioni avvenute negli anni grazie anche alla proiezione

L’esempio più eclatante di Rainbow Washing: il caso Barilla

Il caso più eclatante di un’azienda che ha utilizzato il Rainbow Washing per ripulirsi dal suo passato è proprio la nota impresa Barilla.

L’azienda da sempre ha portato una pubblicità con uno storytelling che si concentrava sulla famiglia e sulla condivisione del cibo. Perciò chiesero al proprietario se fosse disponibile a fare una pubblicità con una famiglia gay, ma l’azienda rifiutò: “Non faremo pubblicità con omosessuali perché a noi piace la famiglia tradizionale. Se i gay non sono d’accordo, possono sempre mangiare la pasta di un’altra marca”. Questa fu la risposta di Guido Barilla nel 2013, senza riflettere sul fatto che potessero avere consumatori non d’accordo con questa sua visione.

Il fratello del proprietario chiese scusa ma ormai era troppo tardi, le parole di Guido Barilla erano ormai diventate virali.

Durante gli anni del calo di reputazione dell’azienda Barilla, le altre imprese colsero le sue debolezze creando una nuova tipologia di marketing: dalla pasta di tutti i colori alla pubblicità con coppie dello stesso sesso che condividono i pasti. A loro volta questo fenomeno fece capire all’azienda Barilla quanto fosse importante l’inclusione.

Questa, non avendo redatto un piano di crisi, dovette assolutamente pensare ad una strategia di recovery. La Barilla cercò di essere seria ed incisiva, promettendo di cambiare il loro modo di fare, dunque l’atteggiamento.

La strategia prevedeva l’inclusione di vario genere, iniziando dalle collaborazioni con le associazioni gay italiane e statunitensi. Nel giro di un anno, grazie al loro cambiamento attitudinario è l’azienda simbolo dell’impegno gay. Nel 2020 viene addirittura premiata a Vienna con il premio per l’inclusione della comunità LGBTQIA+.

Rainbow Washing e abbigliamento pride e comunicazione allo stato puro: il caso Primark

Un altro caso emblematico di Rainbow Washing risale al 2018, con la catena irlandese Primark.

In vista del pride, la catena di abbigliamento creò un’omonima collezione intitolata “Pride”, di cui parte del ricavato sarebbe andato a Stonewall, un’associazione dei diritti LGBTQIA+ britannica. Primark fu accusata per aver sfruttato la popolarità di Stonewall a proprio vantaggio, invece di sostenere altre realtà locali più piccole. Scegliendo questa iconica azienda solamente per il suo nominativo.

Essendo un movimento di inclusione, fece parlare molto il fatto di non aver preso in considerazione altre aziende meno conosciute. Ma non finisce qui! Il movente più grande fu di aver fatto produrre i loro capi in Paesi in cui questi diritti sono fortemente limitati: con precisione in Myanmar ed in Turchia.

Queste due accuse fecero perdere credibilità sulle buone intenzioni dell’impresa, che venne etichettata come un solito “Rainbow Washing”: dunque un teoretico miglioramento della propria immagine.

Un colosso del mercato e il Rainbow Washing: il caso Coca Cola

Anche l’azienda Coca Cola, sponsor del Pride del 2021 a Milano, Napoli e Padova, fece parlare di sé.

Quest’ultima annunciò: «Mai come quest’anno è necessario concentrarsi su quello che abbiamo di più bello, festeggiando insieme l’amore che ci unisce e condividendolo con quante più persone possibili, liberi da ogni pregiudizio». 

Il problema è stato che le persone della comunità LGBTQIA+, che stanno per la lettera “G” e le persone asessuali, che stanno per la “A”, non sono state considerate dalla nota multinazionale! In qualsiasi tipo di pubblicità, di merch non sono state incluse alcune delle categorie della comunità. Un enorme scivolone per la Coca Cola.

Ma non è stata l’unica polemica! Anche la personalizzazione della bottiglia sul sito creò molto scalpore. Si scoprì che era possibile personalizzare la propria bottiglia digitando le parole  “nazi”, “blue lives matter” (cioè le vite dei poliziotti contano) o “Israele” , mentre parole come “Palestina” o “Black Lives Matter” non erano accettate.  Dopo l’inserimento di queste parole infatti appariva la scritta “Ops! Pare che la parola da te inserita non sia stata approvata”.

Questi avvenimenti non sono passati in osservato per nessuno, facendo si che l’enorme azienda americana venne accusata di Rainbow Washing e di opportunismo nei confronti della comunità LGBTQIA+.

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